domenica 28 gennaio 2007

La Fortuna che spreme gli audaci

Alfredo, per non aver ascoltato i consigli del buon cameriere, perde tutti i suoi soldi.

Il parcheggio del casinò era grandissimo. Ci vollero cinque minuti tutti per raggiungere l’entrata a piedi, durante i quali i due compari col caschetto da Beatle spiegarono al ragazzo dai capelli lunghissimi che avrebbero dovuto prendere a nolo una giacca, per poter accedere al locale e giocare. All’ingresso nessuno verificò l’età dei clienti.
Il locale, all’interno, era vasto e quieto. Le luci lo rendevano sinistro e asettico. L’aria era viziata e per terra c’era un tappeto malandato di moquette color oro fissata al suolo con anellini argentati.
Dopo aver cambiato un po’ di soldi, Alfredo e i due Beatles si presentarono al tavolo della roulette, circondati da signorotti di mezz’età giacchincravattati e da signorine ben vestite truccatissimissime. I due Beatles dissero ad Alfredo di verificare quali numeri uscivano, che loro sarebbero andati un momento alla toilette. In realtà di tempo ne passò così tanto da costringere il povero ragazzo a fare uno sforzo enorme pur di riuscire a tenere a mente i numeri vincenti. Quando i due ritornarono, diedero una pacca ciascuno sulla spalla di Alfredo e si sedettero al tavolo, freschi, pimpanti e con gli occhi un po’ spalancati. Puntarono subito qualche decina di euro.
- Non sembra serata buona - disse così Alfredo, nella speranza di tornare presto al casolare.
- Questo è solo il riscaldamento - disse Cesare fissando la roulette.
- Meglio perdere adesso che perdere poi - disse Vittorio mentre gli occhi rincorrevano la pallina.
Giocarono ancora un paio di volte senza fortuna, finché un colpo il piatto non fu ripulito da Vittorio.
- Adesso si comincia a ragionare - disse, e subito rigiocò tutto quello che aveva vinto.
Continuarono a giocare, il più delle volte a perdere, alcune a vincere, tra una sigaretta e una sbirciatina alle scollature delle accompagnatrici dei signorotti al tavolo, finché i soldi cambiati all’entrata si mostrarono evaporati.
I due Beatles si alzarono per cambiare di nuovo. Alfredo, che fin lì era rimasto seduto, li seguì subito quando Cesare disse che la fortuna andava inseguita con pazienza e dedizione. Tornarono al tavolo e giocarono ancora per una buona mezz’ora, vincendo e poi riperdendo tutto ciò che avevano vinto. A un certo punto Vittorio si fissò sul numero tredici. Ci contò per parecchie volte senza riuscire a combinare qualcosa. Chiese a Cesare di giocare per lui: doveva di nuovo puntare al bagno. Poi fu il turno di Cesare, che chiese a Vittorio di continuare a giocare sul tredici. Giocarono finché i soldi che avevano cambiato non furono di nuovo tutti evaporati. Proposero di cambiare un’ultima volta perché, come disse Vittorio, così non poteva continuare: la fortuna era troia, lo sapevano tutti, e prima o poi doveva pure fermarsi anche da loro. Cambiarono quasi tutto quello che avevano in tasca e tornarono a giocare, di nuovo sul tredici. In breve tutto sembrò volgere al peggio, quando Alfredo, con i suoi ultimi gettoni, riuscì a vincere un’ottima somma (con l’otto). Fu momento di gioia: i due Beatles si complimentarono con lui. Il ragazzo dai capelli lunghissimi ritornò subito al sorriso: in un sol colpo aveva ripreso i soldi del nonno.
- La fortuna è con noi, adesso spremiamola - disse Cesare accendendosi una sigaretta.
Vittorio avvicinò subito i suoi gettoni a quelli del compare.
Alfredo esitò. Guardò i suoi gettoni. I soldi che il nonno gli aveva dato per il corso di inglese. I soldi che aveva già rischiato di perdere al night. I due Beatles lo toccarono coi gomiti. Rifissò i suoi averi. Pensò che se c’era tutta quella gente a giocare, un motivo ci doveva pur essere. Li aggregò a quelli dei Beatles.
Alfredo guardò la pallina saltellare da un numero all’altro. Ripensò alle parole del cameriere all’autogrill. Sbatté forte le palpebre per mandar via la sua faccia.
Quando la pallina si fermò, Vittorio bestemmiò.