venerdì 17 novembre 2006

Ai ragazzi di oggi non piace il sanguinaccio

Sistemato il Pescatore di rane in fondo al fosso, Alfredo torna al casolare del nonno e cerca qualcosa di buono per calmare la fame.

Era calata la notte, e assieme a lei una vaga foschia.
Il ragazzo dai capelli lunghissimi, che non aveva messo in pancia niente dalla buonora del mattino, sentì lo stomaco scricchiolare. E un momento più tardi erano già crampi e fitte al ventre.
Alfredo entrò e si avvicinò subito ai fornelli della cucina economica dove stavano abbandonate le pentole che il nonno aveva usato per cena. Le scoperchiò prima una poi l’altra, passandole tutte per poi ricominciare da capo, ma non vi trovò che avanzi rappresi di ciò che aveva già rifiutato poche ore prima: riso bianco, polenta e sanguinaccio. Fece una smorfia, poi iniziò a scostare le tendine color panna della credenza nella speranza di racimolare una merendina al cacao come quelle del distributore della scuola, un pezzetto di cioccolata o almeno qualche biscotto. Intanto la fame cresceva, le fitte allo stomaco chiamavano insistenti, così che il povero ragazzo provò a mettersi al tavolo ancora apparecchiato e prese in mano il tegame che il nonno aveva usato per i sanguinacci. Ne prese uno tra due dita, titubante. Socchiuse gli occhi come di fronte a una medicina indigesta e gli diede un piccolo, incertissimo morso. Tenne il boccone tra i denti qualche momento ma poi, ripensando alle parole del nonno che avevano descritto così precisamente il destino del maiale e la preparazione di ciò che ora teneva tra i denti, spalancò gli occhi e sputò il boccone sulla tovaglia. Si pulì la bocca e si lasciò andare sulla sedia stremato per la fame che non dava pace. Guardò sopra la credenza e si ritrovò nello specchio impolverato. Approfittò per rifarsi la coda di cavallo e meditare. Concluse che per mettere qualcosa di decente sotto i denti sarebbe dovuto uscire di casa e comprare qualcosa. Si accorse che riflessa sullo specchio c’era la sagoma di un portamonete marrone, proprio dietro di lui. Si voltò, lo trovò appoggiato accanto ai fornelli. Era di cuoio scuro, screpolato, e sembrava molto vecchio. Si alzò in piedi, lo prese e lo aprì fiducioso. Dentro, però, non vi trovò che poche monete, oltre alla foto in bianco e nero, ingiallita e tutta stropicciata, di una ragazza in gonne lunghe e zoccoli ai piedi. La prese in mano e la guardò sorridere a un palmo dal suo naso. Pensò che doveva essere la foto di sua nonna, quando lei era giovane e lui nemmeno c’era. La rimise nel portamonete.
- Con questi non mi compro neanche mezzo panino… - pensò contando le monete sul tavolo, poi un crampo gli percorse la pancia a tradimento. Provò a carezzarla con la mano.
Trovò lo slancio per alzarsi e si diresse verso la porta d’ingresso. Prese le chiavi che stavano ancora nella toppa, e dopo aver chiuso la porta con due mandate se le mise nel taschino del giubbotto di jeans. Fuori ormai era buio, e la foschia s’era un poco infittita. Dal cortile, oltre ai lampioni che provavano a rischiarare la strada di casa, Alfredo intravide una luce lontana andare e venire in mezzo ai campi. Gli tornò in mente l’incontro col vecchio delle rane, e le parole che aveva pronunciato.
- Però… se avessi un lavoretto… almeno qualche soldo per comprarmi qualcosa ora ce l’avrei... - pensò.
Si sistemò di nuovo la coda di cavallo e sì alzò i baveri del giubbotto per proteggersi dall’umidità che saliva dai campi. Si ficcò le mani in tasca, poi s’incamminò per il paese.
Lì avrebbe trovato qualcosa di sicuro.

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