mercoledì 27 giugno 2007

Io non sono mica razzista, però…

Alfredo raggiunge l’accampamento delle prostitute e una folla inferocita.



C’era caldo, si faticava a respirare. In alto il cielo stava strano, sfocato tra i palazzoni sporchi, e non si riusciva a distinguere il sole. Alfredo si mise a camminare seguendo per il campo sportivo. Già da lontano, fin dal parcheggio, notò gente urlare e gesticolare. Quando si avvicinò all’entrata dell’accampamento, si accorse che gli abitanti del quartiere lo avevano ormai circondato. S’era formata una barriera umana e i manifestanti, soprattutto signori e signore di una certa età, gridavano strani slogan in dialetto cadenzati da coloritissime bestemmie.
- Tornate a casa vostra!
- Via! Via!
- Ladri zingari e puttane!
- Bruciamoli vivi!
Alfredo si mischiò subito alla folla e cercò tra i volti quello del nonno. Provò a chiedere permesso, poi provò a spingere come riusciva per poter avanzare tra la gente. Dopo qualche minuto di spintoni e pestoni ai piedi, riuscì a scorgere tra una persona e un’altra l’entrata dell’accampamento. Appeso al cancello c’era un lenzuolo bianco: “Via i delinquenti da casa nostra”. Una giovane ragazza, vestita con una gonna scura, lunga, larga, ornata di mille pizzi e con una camicetta bianca che lasciava intravedere un seno generoso se ne stava al di là del cancello a ricevere gli insulti della folla. Alfredo riuscì ad avvicinarsi ancora un po’, e tra un’offesa e l’altra, a dirle qualcosa.
- Posso entrare?
- Eh?
- Posso entrare, per favore…
- Chi sei tu? - urlò lei.
- Un amico… per favore…
Poi, sentendo che la gente cominciava a spingerlo contro il cancello, Alfredo si voltò verso le prime persone. Un gruppo di vecchietti con le braccia alzate, cartelli sgrammaticati e la faccia tutta rubizza per la collera lo stava indicando.
- Giornalista! Un momento, sono un giornalista! - urlò lui.
- Bravo! - gridò qualcuno.
- È ora di finirla, qua! Scrivilo! - urlò qualcun altro.
Alla fine la ragazza sbloccò il cancello, lo aprì giusto di un poco per far passare il giovane e lo richiuse subito.
Il campo era immenso, molto più grande di quanto Alfredo aveva pensato. C’erano roulotte e tende dappertutto, disposte simmetricamente a formare strade, vie e viuzze. La gente se ne stava seduta sorridente e tranquilla nelle verande, oppure stava all’aperto, nonostante il rumore delle urla della gente che proveniva dall’esterno. Le donne lavavano i panni e li mettevano ad asciugare, gli uomini erano per lo più intenti a trafficare sui motori delle auto e dei furgoni, i bambini correvano dappertutto senza pause. Alfredo si guardò attorno. Non c’erano né vecchietti coi capelli bianchi né ragazze mulatte, a ben guardare. Per un attimo rischiò di piangere, poi però, pensò che dopo tutta quella strada e quelle ore in autostrada avrebbe almeno dovuto tentare fino in fondo. Si avvicinò a una signora anziana e grossa che stava seduta su una minuscola seggiola pieghevole a lavorare a maglia.
- Mi scusi…
La signora guardò il ragazzo. Sorrise.
- È arrivata gente nuova, stanotte?
- Sempre arriva nuova gente, in campo.
- Dico delle ragazze scure… dalla pelle scura, insomma… - fece Alfredo sfiorandosi il viso con la mano.
- Sempre arriva ragazze con pelle scura, in campo - fece lei, indicando con il ferro un gruppo di vecchie roulotte che stava dall’altra parte del campo.
Il ragazzo con i capelli lunghissimi fece un cenno col capo e si avviò veloce. Sul posto, vide che le roulotte erano ben più vecchie e sgangherate delle altre. La porta di una roulotte color panna, tutta arrugginita, si aprì cigolando. Dalle scale, sobria ed elegante, scese a passo sicuro la ragazza mulatta. Guardò verso Alfredo e si fermò, lasciando partire un larghissimo sorriso e facendo un minuscolo, semplice cenno con la mano aperta.
- Ciao - disse da lontano.
- Luna - sussurrò Alfredo, e si sistemò subito la coda di cavallo.

domenica 17 giugno 2007

Giro di boa...

Carissimi lettori, di carta e di web.

Eccoci al giro di boa della nostra strampalata cavalcata: una ventina di episodi in edicola e qui, una ventina ne mancano ancora.
Prendo spunto da una mail di un lettore (Leo, mi chiede quali personaggi è già riuscito a smascherare) per fare un piccolo test.
Leo dice: non c’è dubbio che la Fata Turchina sia la prostituta di nome Luna… e poi parte con un elenco di personaggi del Pinocchio Original Version comparandoli al clandestino Pinocchio a Nordest.

Mettiamola così: Leo ha giocato (giocato bene: ne ha mancato solo uno) al chi è chi.

Caro Leo, la Fatina è proprio Luna, la prostituta mulatta che “appare” ad Alfredo sul finire dell’episodio numero 8.
Risparmiando caratteri su chi è Pinocchio e chi Geppetto, ora a voi chiedo: chi è il Grillo Parlante?

Il Gatto e la Volpe?

Mangiafuoco?

L’Omino di Burro (Leo, ecco il personaggio che ti mancava!)?

Per problemi e soluzioni consiglio sempre birra e Comencini.
Che lo diano solo sotto le feste?

P.S. Claudio, che credi: il test lo farò presto anche a te che disegni. Metti un paio di birre in frigo.

Guido Ostanel

giovedì 14 giugno 2007

Altro giro altra corsa, in Tangenziale Relax

Alfredo raggiunge il cavalcavia delle prostitute, ma non trova nessuno.
Poi sale su un camion, direzione Marghera.

Alfredo fu svegliato dal frastuono di un grosso motore che non era ancora del tutto mattino. Un camion enorme con in cima una ruspa arancio sbiadita spuntò dalla nebbia e si fermò a tre metri da lui. Il camion sbuffò, poi scese un tipone con una sigaretta incollata alle labbra.
- Che cazzo ci fai qui?
- Niente - disse Alfredo.
- Non lo hai letto il cartello?
- Sai dove è finito l’accampamento delle ragazze?
- Pure tu le puttane? Me lo hanno chiesto anche ieri, si vede che erano in gamba…
- è venuta la polizia?
- Un vecchietto, un ubriacone credo.
- Con gli occhiali?
- Spessi così.
- Aveva un motorino?
- Almeno sembrava.
- Un motorino nero, vecchio?
- Una mezza carretta.
- Che cosa ti ha detto?
- Appunto, mi ha chiesto se era qui che c’erano quelle puttane.
- E poi?
- Se sapevo dove sarebbero andate, si vede che c’era affezionato, hai capito…
- Tu lo sai?
- Parlavano di Mestre, mi pare che avessero delle amiche, o amici, qualcosa del genere, credo.
- E il vecchio? Andava di là?
- Ah non lo so. Ho visto che ha gironzolato un po’ lungo il fiume, ha parlottato con un balordo pieno di sportine bucate, poi ha preso il motorino e se ne è andato da solo.
- E quanto ci si mette da qui a Mestre?
- Un’ora in motorino, tre con la macchina.
- Eh?
- La tangenziale di Mestre! Ma dove vivi tu, sulla luna vivi?
Alfredo non disse nulla.
Il tipone tolse la sigaretta di bocca.
- Fra un paio d’ore avrò il camion pieno, devo portare sassi a Marghera e poi torno qui. Se vuoi…
- Marghera è vicina a Mestre?
- Praticamente la stessa cosa.
La strada era un formicaio di scarichi e ruote. A ogni semaforo strombazzare di clacson: bastava che uno desse l’esempio e poi via gli altri dietro. Alfredo aveva dormito la notte sopra i sassi ghiacciati del fiume, respirato lacrime e nebbia, e ogni rumore ora gli pareva più forte. A un incrocio passò un’ambulanza che rimase impigliata per un po’ tra le macchine a sirene spiegate.
- Al solito, qui si mette male - disse il tipone mettendosi una sigaretta tra le labbra.
Un Suv nero sfrecciò alla destra del camion e s’infilò tra due auto. Il tipone bestemmiò. Poi allungò una cicca ad Alfredo.
- Fino a Marghera mettiamocela via - disse. Poi prese il CB.
- Ma è sempre così?
- Da così a molto peggio, ringraziare i politici.
Alfredo pensò alla ragazza mulatta. Si chiese se l’avrebbe rivista. Poi pensò al nonno. Aveva lavorato per anni a Marghera, avrebbe davvero provato a raggiungerla con quella mezza carretta?
Il tipone disse qualcosa di sconcio al CB e tossì.
Alfredo abbassò il finestrino. Lo richiuse perché gli sembrò entrasse solo gas e calore. Guardò alla sua destra, oltre il vetro graffiato. Una fila indistinta di fabbriche grigie scorreva come moviola alla televisione. Si mise a leggere i nomi delle ditte. C’era chi faceva serrature, chi scatole per dolci, chi fanali per motorini e poi chi levigava, verniciava, imballava, montava, trasportava in Europa e nel Mondo. Fabbriche diverse, con nomi e padroni distinti. Per un secondo soltanto fu allevamento di struzzi. Poi surgelati, maniglie macchine agricole, muletti, vernici, compressori camere d’aria.
Il finestrino si fermò, incorniciando un edificio rosa fluorescente.
Il ragazzo dai capelli lunghissimi tirò gli occhi. Sul tetto, un’insegna luminosa con scritte a comparsa: “Body Project, progetta la tua forma” e dopo qualche secondo altre strane parole: “Body Building, Body Toning, Body Sculpture, Cardiofitness Pancafit, Spinning Jumping Step, Power Pump, Power Run e Relax Zone”. Infine comparve un omino splendente rigonfio di muscoli. Mostrò i bicipiti all’autostrada e sorrise.

mercoledì 23 maggio 2007

Maghi, imbonitori, tecnici e santoni

Alfredo cerca di salvare il vecchietto con la pipa da due perfidi approfittatori.

- Buonasera, tecnici Enel per un controllo - disse uno dei due giovanotti.
L’altro mostrò il cartellino che gli pendeva dalla camicia.- Un controllo? Di domenica? - chiese il vecchietto con la porta ancora socchiusa.
- Controllo preventivo. Questo è il primo dell’anno, siamo appena stati dalla signora di fronte.
- Ah, d’accordo allora, entrino pure.
I due giovanotti guardarono un po’ qui e un po’ lì, maneggiando strani arnesi e parlottando in dialetto. Poi si soffermarono più a lungo sul contatore, dietro la porta d’entrata.
Nella stanza accanto, che doveva essere la camera del vecchietto, Alfredo si guardò su un piccolo specchio graffiato e sorrise. Vide riflesse alcune fotografie. Si voltò, erano tutte foto in bianco e nero. Si avvicinò al comodino, ne prese una. La foto di un soldato, portamento perfetto, orgoglioso. Doveva essere la foto del vecchietto con la pipa quando era giovane. Gli venne in mente il suo povero nonno, poi sentì che nell’altra stanza si era ripreso a discutere.
- Allora signore, qui ci sono problemi seri - disse uno dei due tecnici.
- Lo stabile è vecchio, potrebbero essere le tubature - aggiunse l’altro.
- È pericoloso? - chiese il vecchietto con la pipa.
- Al momento no, però non si sa mai, con queste cose è meglio stare tranquilli - disse uno dei due giovanotti mentre l’altro tirava fuori una cartellina di cartone rigido con su scritto “Enel”.
- Allora i signori dovranno fare dei lavori…
- La squadra degli interventi preventivi sarà qui domani pomeriggio al massimo. Lei è a casa?
- Intanto metta una firma qui - disse il secondo giovanotto - È un bollettino che attesta l’avvenuto controllo, al quale deve allegare un assegno, o se preferisce dei contanti, come caparra sui costi dei ricambi e sulla manutenzione.
- Stia tranquillo: la somma le verrà interamente restituita con la prossima bolletta. Vede? C’è scritto tutto qui - continuò il secondo tecnico sventolando un paio di fogli.
Alfredo, nell’altra stanza, accese la TV nella speranza che quei tipi così pignoli se ne andassero presto. A quell’ora non è che ci fosse granché, solo quiz miliardari e varietà tette e culi in tutte le salse. Si fermò su un canale locale. Una signora di mezz’età con i capelli tinti di biondo e sfibratissimi, tutta bruttina e con la voce roca eppure assordante, incitava gli spettatori a chiamare per ottenere una consulenza gratuita dal mago di colore che la sapeva lunga sui numeri vincenti.
Dalla stanza accanto entrò a piccoli passi il vecchietto con la pipa. Quando Alfredo lo vide camminare in quel modo, gli scappò da ridere.
- Eccovi qui, ragazzo - disse il vecchietto - ma dove vi eravate cacciati?
- Non volevo disturbare.
- Per carità, sono solo i tecnici dell’Enel - disse il vecchietto trascinandosi fino al comodino.
Tirò il cassetto e prese un blocchetto di assegni tutto nuovo. Poi uscì piano piano dalla stanza.
In TV la signora bruttina dalla voce roca eppure assordante presentò la sua “figliola” (così l’aveva chiamata): una signora dall’aria giovanile con la pelle tutta bruciacchiata dalle lampade e dal sole, che entrò in pompa magna e si mise seduta fra mamma e mago di colore.
- Amici, questa non è una truffa! Ren-de-te-ve-ne con-to! - urlò la figlioletta della signora bruttina mostrando denti candidi e perfetti al pubblico.
Il ragazzo dai capelli lunghissimi sobbalzò. Buttò il telecomando sul letto e corse nella stanza accanto.
- È una truffa! - gridò - Quelli non sono…
Il vecchio guardò Alfredo.
L’assegno stava sul tavolo, accanto alla pipa.

giovedì 3 maggio 2007

Ridere per non piangere ancora

Alfredo finisce a casa del vecchio con la pipa e si ubriaca con lui.

Il vecchio con la pipa mollò il braccio di Alfredo per cercare le chiavi. Da dietro, qualcuno glielo strinse di nuovo. Il ragazzo con i capelli lunghissimi si voltò e vide un tipo alto e magro con in mano un sacchettino di plastica trasparente. Dentro aveva minuscole foglie verdi. Alfredo controllò il vecchio. Stava trafficando con la serratura e mugugnava qualcosa a proposito della portinaia. Si voltò e prese il sacchettino. Il tipo gli indicò dieci con due mani aperte. Alfredo prese tutte le monete che gli erano rimaste e il tipo fece segno con il pollice che andava bene lo stesso.
Mentre spingeva la porta, il vecchio disse che erano mesi che diceva alla portinaia di cambiare serratura, e che se non ci pensava lei, prima o poi se la sarebbe cambiata da solo. Alfredo, aspettando che finisse di brontolare, provò a pensare a come potersi congedare, ma il vecchio, stringendogli il braccio, lo invitò a prendere qualcosa.
- Bevete vino, voi, ragazzo?
Alfredo guardò la bottiglia già aperta sul tavolo.
- Avete fatto il vostro dovere, non come questi mascalzoni dei miei figli - disse indicando alcune foto sulla credenza.
Al tavolo rettangolare c’erano solo due sedie. Il vecchio versò un bicchiere per uno.
- Cannonau 2005, viene da Nuoro - disse.
Poi iniziò a raccontare di quando era giovane, della carriera militare, della moglie, di come l’aveva conosciuta durante un ballo e di come era morta quando ancora era giovane e piena d’entusiasmo. Raccontò dei figli, di come l’avevano dimenticato per venirlo a trovare solo la domenica a pranzo. Disse che una delle cose che lo infastidivano di più era che gli portavano il cibo come se lui non fosse capace di fare da solo. Quando attaccò con la Guerra ormai era tardi. Alfredo aveva smarrito il senso del tempo. Su di lui e sul vecchio il vino sembrò avere effetti opposti. Uno si ammosciava sempre di più sulla sedia, il vecchio diventava sempre più sveglio e pimpante. Vedendolo tutto paonazzo in viso e con gli occhi un po’ troppo lucidi, il vecchio chiese ad Alfredo se fosse maggiorenne. Alfredo disse che aveva da poco compiuto i diciotto. Il vecchio gli versò allora un altro bicchiere e gli chiese se voleva provare la pipa, dicendo che gliel’aveva lasciata un commilitone pugliese appena prima di morire sul Piave. Alfredo, che ormai non sapeva più come fare per andarsene, accettò. Il vecchio caricò la pipa, l’accese e la passò al ragazzo. Poi chiese permesso per andare al gabinetto, e si trascinò a piccoli passi fuori dalla stanza. Alfredo ne approfittò per sgranchirsi, ma realizzò che le gambe, per la stanchezza e per il vino, faticavano a reggerlo in piedi. Ripensò alla ragazza mulatta e alla sua medicina speciale. Si risedette, con la pipa tra le mani. Provò ad annusarla. Aveva un profumo intenso, dolciastro. Guardò il tabacco che c’era dentro. Gli venne in mente del sacchettino con le foglioline verdi. Lo prese e versò buona parte del contenuto nella pipa mescolandolo al tabacco. L’accese come aveva visto fare al vecchio.
Ora, il fatto è che il vecchio, per via dei suoi ritmi, ci mise almeno mezz’ora per tornare dal bagno, per cui il ragazzo ebbe modo di accendere e spegnere la pipa più volte. Quando poi il vecchio spuntò sulla porta, scusandosi per aver fatto attendere l’ospite così a lungo, chiese al ragazzo se per caso non sentisse anche lui uno strano odorino. Alfredo si sistemò la coda cercando di non ridere. E quando il vecchio, cogliendo l’occasione, lo invitò nuovamente a tagliarsi i capelli perché altrimenti lo avrebbero scambiato per una femminuccia, il ragazzo cominciò a ridere di gusto. Anche il vecchio, allora, iniziò a ridere, e più lui rideva, più Alfredo si agitava sulla sedia senza riuscire a calmarsi, finché il vecchio non chiese al ragazzo come mai avesse gli occhi tutti rossi.
- Sarà il vino - disse Alfredo passandogli la pipa.
Il vecchio la prese, la guardò perplesso e se la infilò tra le labbra.

mercoledì 18 aprile 2007

Piano piano si va sano e lontano (pure in città)

Alfredo incontra un vecchietto con la pipa e non riesce a separarsene più.

- Due domande per la nostra libreria: ti piace leggere?
Il ragazzo dai capelli lunghissimi alzò gli occhi da terra.
- Quali libri ti porti in vacanza? - gli chiese una donna giovane, carina e scollata.
Alfredo accelerò il passo. Solo dopo qualche metro, la donna rinunciò per attaccarsi a un altro passante.
Alfredo pensò a quello che avrebbe potuto raccontare al nonno per farsi perdonare.
- Due domande per la nostra associazione: quali sono i primi tre problemi del mondo?
Alfredo rialzò gli occhi da terra.
- Crede che l’uomo possa fare qualcosa per migliorare il mondo?
Un uomo bruttino con una cartellina da presentatore televisivo in mano si mise a fianco di Alfredo.
- Ci sono persone che pensano positivo e si propongono di cambiare il mondo ogni giorno. Lei è tra queste?
L’uomo bruttino balzò di fronte ad Alfredo per poterlo fermare. Fu allora che il ragazzo vide la scritta sulla cartella che teneva in mano: “Vitalogy. Con te, un nuovo mondo è possibile”. La rilesse un’altra volta. Poi, stanco di essere disturbato a ogni metro per delle domande povere di senso e ricche di fini secondi, cominciò a correre fino a quando non si trovò sopra un immenso cavalcavia che, visto da sopra, gli sembrò molto simile a quello della sera prima. Guardò all’orizzonte, ce n’erano almeno una decina. Gli sembrarono tutti uguali, enormi, trafficatissimi. Si affacciò dalla balaustra per guardare di sotto. Da dietro, una mano lo afferrò per un braccio.
- Basta! - sbraitò il ragazzo voltandosi di scatto.
Di fronte a lui, un vecchietto mingherlino con una pipa di tartaruga in bocca si sosteneva con un bastone di legno intarsiato. Era vestito elegante, aveva i baffetti e i capelli grigi ben pettinati, gli occhi rossi un po’ stanchi.
- Mi scusi - si giustificò Alfredo arrossendo.
- Siete tutti uguali, voi giovani - brontolò il vecchietto senza mollare la pipa e la presa.
- No, è che pensavo…
- Sei come i miei figli.
- Prima di…
- Non si ricordano neanche di averlo, un padre.
- Ma io non volevo, è che mi fermano tutti per...
- Cercavo solo di attraversare la strada.
- La strada? La strada, certo - farfugliò il ragazzo, guardando le auto ferme in fila sul cavalcavia.
- Da solo non mi fido più, corrono tutti come matti.
- Le do una mano io, aspetti - disse Alfredo.
- Ecco... sì… piano piano.
Alfredo e il vecchietto provarono ad attraversare il passaggio pedonale. Nonostante il sostegno del ragazzo, il verde per le auto scattò troppo presto per permettere al vecchietto di raggiungere il marciapiede opposto. Così, a piccoli passi trascinati uno di seguito all’altro sull’asfalto, riuscirono soltanto al secondo tentativo, dopo una lunghissima sosta in mezzo alla strada, sulle strisce pedonali, tra le due file di auto che sopraggiungevano in un senso e nell’altro senza fermarsi. Fu durante la pausa prima del nuovo via libera che il vecchietto, avvicinandosi all’orecchio del ragazzo per farsi sentire nel traffico, gli raccomandò di tagliarsi i capelli perché così sembrava una femminuccia. Quando finalmente si ritrovarono sul marciapiede buono, il vecchietto strinse il braccio di Alfredo più forte di prima.
- Grazie. Adesso dovrò trovare qualcuno che mi accompagni fino a casa.
- Fino a casa?
- In fondo, laggiù, a mezzo chilometro dal cavalcavia, ma da solo mi ci vuole tempo… devo appoggiarmi ai muri dei palazzi...
Ad Alfredo sembrò che il vecchietto stringesse ancora di più.
- Il problema sono le macchine agli incroci.
Alfredo guardò il vecchietto. Gli ricordava il suo povero nonno.
- Andiamo - disse il ragazzo.
- Piano piano - disse il vecchietto.
- Piano piano - confermò Alfredo.

mercoledì 4 aprile 2007

Dai retta al vecchio (anche se sdentato)

Alfredo ritrova Cesare e Vittorio e si mette di nuovo nei guai.


- Alfredo! - gridò una voce dal finestrino.
Il ragazzo dai capelli lunghissimi si fermò a metà delle strisce.
- Sali! - urlò Cesare sporgendosi dal Suv.
Alfredo restò immobile per un momento. Poi fece una corsa e salì dalla porta dietro del Suv.
-
Evviva il nostro Alfredo! - dissero in coro i due Beatles.
- Non ti abbiamo più visto stanotte! Dove sei finito? - chiese Vittorio.
- Mi sono sentito male, poi sono finito in una roulotte vicino al fiume…
- Dalle puttane? Ha dormito dalle puttane! - disse Cesare.
Alfredo arrossì.
- E se facciamo un salto alle scommesse per rifarci della sfiga di stanotte? - propose Vittorio.
- Io devo tornare a casa…
- Facciamo presto, vedrai. Poi ti accompagniamo noi.
Alfredo ci pensò.
- Quanto è lontano?
- Siamo arrivati.
L’insegna verde, visibile a cento metri almeno, recitava: “Punto Schèi”.
Era la prima volta che Alfredo metteva piede in un posto così. Vide almeno una decina di persone col naso all’insù, ipnotizzate dagli schermi appesi alle pareti dell’enorme stanzone verde. Da un lato c’erano quarantenni in giacca e cravatta che reggevano una valigetta di pelle ciascuno. Dall’altro un paio di vecchiettini ingobbiti e tristi vestiti pesantemente per la stagione estiva, poi un paio di balordi con i capelli lunghi e il barbone e alcuni giovani con pochissimi capelli in testa. Nessuno parlava, ognuno fissava il proprio monitor con il foglietto della scommessa stretto tra le dita. Per terra, Alfredo vide un tappeto bianco di ricevute stropicciate e abbandonate.
- Sei qui per scommettere anche tu? Così giovane? - chiese un ometto sdentato con una scopa in mano.
- Accompagno degli amici.
- Amici? Che ti portano qui?
L’ometto sdentato ridacchiò sostenendosi sulla scopa.
- Nessuno ti regala niente a questo mondo, caro mio!
Vittorio fece un cenno ad Alfredo. Il ragazzo mosse i piedi alzando da terra un gruzzolo di foglietti stropicciati e si diresse in fretta verso i compagni.
- Mio carissimo Alfredo - fece Cesare allungandogli una mano sulla spalla - che ne dici di ricambiare il favore di stanotte e di tirare fuori un po’ di soldini per le prime scommesse?
- Non è che a noi resti un granché, dopo ieri - disse Vittorio.
Alfredo pensò al nonno. Pensò che se in fondo non era venuto a sapere del night, delle puttane e di tutto il resto era per merito dei due tipi con i capelli da Beatle. Tirò fuori il portafogli e consegnò quasi tutti i soldi che gli erano rimasti.
Fu così che i tre giovani giocarono più e più volte, prima sui cavalli, poi sulle partite di basket, poi su quelle di tennis, senza mai riuscire a racimolare una lira.
- Proviamo l’ultima - disse Vittorio.
- Sul primo marcatore della partita, mi sa che così si prende bene - disse Cesare.
- Ma no, così non si vince una mazza! Puntiamo su un difensore - propose Vittorio.
- Ma quanto si vince se segna? - chiese Alfredo.
- Un bel po’ di soldini. Devi moltiplicare per, vediamo, per diciassette la cifra che giochi. Quanto era la cifra? - disse Cesare.
- Cinquanta euro - disse Alfredo con la ricevuta tra le dita.
-
Per diciassette fa…
- Negro di merda! - scoppiò Vittorio.
Dopo due minuti di gioco il centravanti di colore aveva segnato di testa.
Cesare bestemmiò, poi si avviò verso l’uscita.
- Qui c’è qualcuno che porta sfiga - disse Vittorio prima di raggiungere il compare.
Alfredo rimase impalato, col naso all’insù e il foglietto della giocata ancora stretto tra le dita. Il centravanti, sullo schermo, si tolse la maglia per festeggiare, mostrandone sotto una tutta bianca con un grande logo rosso a forma di E.
Dietro al ragazzo, aggrappato alla scopa, l’ometto sdentato ridacchiò di gran gusto.