mercoledì 27 giugno 2007
Io non sono mica razzista, però…
Alfredo raggiunge l’accampamento delle prostitute e una folla inferocita.
C’era caldo, si faticava a respirare. In alto il cielo stava strano, sfocato tra i palazzoni sporchi, e non si riusciva a distinguere il sole. Alfredo si mise a camminare seguendo per il campo sportivo. Già da lontano, fin dal parcheggio, notò gente urlare e gesticolare. Quando si avvicinò all’entrata dell’accampamento, si accorse che gli abitanti del quartiere lo avevano ormai circondato. S’era formata una barriera umana e i manifestanti, soprattutto signori e signore di una certa età, gridavano strani slogan in dialetto cadenzati da coloritissime bestemmie.
- Tornate a casa vostra!
- Via! Via!
- Ladri zingari e puttane!
- Bruciamoli vivi!
Alfredo si mischiò subito alla folla e cercò tra i volti quello del nonno. Provò a chiedere permesso, poi provò a spingere come riusciva per poter avanzare tra la gente. Dopo qualche minuto di spintoni e pestoni ai piedi, riuscì a scorgere tra una persona e un’altra l’entrata dell’accampamento. Appeso al cancello c’era un lenzuolo bianco: “Via i delinquenti da casa nostra”. Una giovane ragazza, vestita con una gonna scura, lunga, larga, ornata di mille pizzi e con una camicetta bianca che lasciava intravedere un seno generoso se ne stava al di là del cancello a ricevere gli insulti della folla. Alfredo riuscì ad avvicinarsi ancora un po’, e tra un’offesa e l’altra, a dirle qualcosa.
- Posso entrare?
- Eh?
- Posso entrare, per favore…
- Chi sei tu? - urlò lei.
- Un amico… per favore…
Poi, sentendo che la gente cominciava a spingerlo contro il cancello, Alfredo si voltò verso le prime persone. Un gruppo di vecchietti con le braccia alzate, cartelli sgrammaticati e la faccia tutta rubizza per la collera lo stava indicando.
- Giornalista! Un momento, sono un giornalista! - urlò lui.
- Bravo! - gridò qualcuno.
- È ora di finirla, qua! Scrivilo! - urlò qualcun altro.
Alla fine la ragazza sbloccò il cancello, lo aprì giusto di un poco per far passare il giovane e lo richiuse subito.
Il campo era immenso, molto più grande di quanto Alfredo aveva pensato. C’erano roulotte e tende dappertutto, disposte simmetricamente a formare strade, vie e viuzze. La gente se ne stava seduta sorridente e tranquilla nelle verande, oppure stava all’aperto, nonostante il rumore delle urla della gente che proveniva dall’esterno. Le donne lavavano i panni e li mettevano ad asciugare, gli uomini erano per lo più intenti a trafficare sui motori delle auto e dei furgoni, i bambini correvano dappertutto senza pause. Alfredo si guardò attorno. Non c’erano né vecchietti coi capelli bianchi né ragazze mulatte, a ben guardare. Per un attimo rischiò di piangere, poi però, pensò che dopo tutta quella strada e quelle ore in autostrada avrebbe almeno dovuto tentare fino in fondo. Si avvicinò a una signora anziana e grossa che stava seduta su una minuscola seggiola pieghevole a lavorare a maglia.
- Mi scusi…
La signora guardò il ragazzo. Sorrise.
- È arrivata gente nuova, stanotte?
- Sempre arriva nuova gente, in campo.
- Dico delle ragazze scure… dalla pelle scura, insomma… - fece Alfredo sfiorandosi il viso con la mano.
- Sempre arriva ragazze con pelle scura, in campo - fece lei, indicando con il ferro un gruppo di vecchie roulotte che stava dall’altra parte del campo.
Il ragazzo con i capelli lunghissimi fece un cenno col capo e si avviò veloce. Sul posto, vide che le roulotte erano ben più vecchie e sgangherate delle altre. La porta di una roulotte color panna, tutta arrugginita, si aprì cigolando. Dalle scale, sobria ed elegante, scese a passo sicuro la ragazza mulatta. Guardò verso Alfredo e si fermò, lasciando partire un larghissimo sorriso e facendo un minuscolo, semplice cenno con la mano aperta.
- Ciao - disse da lontano.
- Luna - sussurrò Alfredo, e si sistemò subito la coda di cavallo.
C’era caldo, si faticava a respirare. In alto il cielo stava strano, sfocato tra i palazzoni sporchi, e non si riusciva a distinguere il sole. Alfredo si mise a camminare seguendo per il campo sportivo. Già da lontano, fin dal parcheggio, notò gente urlare e gesticolare. Quando si avvicinò all’entrata dell’accampamento, si accorse che gli abitanti del quartiere lo avevano ormai circondato. S’era formata una barriera umana e i manifestanti, soprattutto signori e signore di una certa età, gridavano strani slogan in dialetto cadenzati da coloritissime bestemmie.
- Tornate a casa vostra!
- Via! Via!
- Ladri zingari e puttane!
- Bruciamoli vivi!
Alfredo si mischiò subito alla folla e cercò tra i volti quello del nonno. Provò a chiedere permesso, poi provò a spingere come riusciva per poter avanzare tra la gente. Dopo qualche minuto di spintoni e pestoni ai piedi, riuscì a scorgere tra una persona e un’altra l’entrata dell’accampamento. Appeso al cancello c’era un lenzuolo bianco: “Via i delinquenti da casa nostra”. Una giovane ragazza, vestita con una gonna scura, lunga, larga, ornata di mille pizzi e con una camicetta bianca che lasciava intravedere un seno generoso se ne stava al di là del cancello a ricevere gli insulti della folla. Alfredo riuscì ad avvicinarsi ancora un po’, e tra un’offesa e l’altra, a dirle qualcosa.
- Posso entrare?
- Eh?
- Posso entrare, per favore…
- Chi sei tu? - urlò lei.
- Un amico… per favore…
Poi, sentendo che la gente cominciava a spingerlo contro il cancello, Alfredo si voltò verso le prime persone. Un gruppo di vecchietti con le braccia alzate, cartelli sgrammaticati e la faccia tutta rubizza per la collera lo stava indicando.
- Giornalista! Un momento, sono un giornalista! - urlò lui.
- Bravo! - gridò qualcuno.
- È ora di finirla, qua! Scrivilo! - urlò qualcun altro.
Alla fine la ragazza sbloccò il cancello, lo aprì giusto di un poco per far passare il giovane e lo richiuse subito.
Il campo era immenso, molto più grande di quanto Alfredo aveva pensato. C’erano roulotte e tende dappertutto, disposte simmetricamente a formare strade, vie e viuzze. La gente se ne stava seduta sorridente e tranquilla nelle verande, oppure stava all’aperto, nonostante il rumore delle urla della gente che proveniva dall’esterno. Le donne lavavano i panni e li mettevano ad asciugare, gli uomini erano per lo più intenti a trafficare sui motori delle auto e dei furgoni, i bambini correvano dappertutto senza pause. Alfredo si guardò attorno. Non c’erano né vecchietti coi capelli bianchi né ragazze mulatte, a ben guardare. Per un attimo rischiò di piangere, poi però, pensò che dopo tutta quella strada e quelle ore in autostrada avrebbe almeno dovuto tentare fino in fondo. Si avvicinò a una signora anziana e grossa che stava seduta su una minuscola seggiola pieghevole a lavorare a maglia.
- Mi scusi…
La signora guardò il ragazzo. Sorrise.
- È arrivata gente nuova, stanotte?
- Sempre arriva nuova gente, in campo.
- Dico delle ragazze scure… dalla pelle scura, insomma… - fece Alfredo sfiorandosi il viso con la mano.
- Sempre arriva ragazze con pelle scura, in campo - fece lei, indicando con il ferro un gruppo di vecchie roulotte che stava dall’altra parte del campo.
Il ragazzo con i capelli lunghissimi fece un cenno col capo e si avviò veloce. Sul posto, vide che le roulotte erano ben più vecchie e sgangherate delle altre. La porta di una roulotte color panna, tutta arrugginita, si aprì cigolando. Dalle scale, sobria ed elegante, scese a passo sicuro la ragazza mulatta. Guardò verso Alfredo e si fermò, lasciando partire un larghissimo sorriso e facendo un minuscolo, semplice cenno con la mano aperta.
- Ciao - disse da lontano.
- Luna - sussurrò Alfredo, e si sistemò subito la coda di cavallo.
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3 commenti:
I leghismi sono di una barbara incilviltà, di qualunque tipo.
Monica
Magari ci fossero solo i leghismi, Monica, ci sono molti tipi di razzismo anche dietro casa.
Giorgio
Sempre un piacere trovare blog del genere.
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